Categorie
Approfondimenti di Psicologia

Materia e Psiche nell’ottica delle Psicologia Analitica Junghiana

Com’è noto, due sono i pionieri dell’inconscio: Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. L’inconscio è stata la scoperta d’una realtà psichica al di là dell’IO cosciente. Freud vedeva nell’inconscio anzitutto l’ambito nel quale esistono pulsioni sessuali rimosse. Per Jung, invece, l’inconscio è anche essenzialmente un campo in cui si costellano percezioni oscillanti, anticipazioni di processi psichici evolutivi, precursori, cioè di ulteriori processi coscienti e, in generale, di tutti i contenuti creativi. Attento principalmente agli aspetti pulsionali dell’inconscio, Freud aveva sempre cercato un aggancio al sapere medico dell’epoca, alla neurofisiologia, all’endocrinologia e soprattutto alla ricerca sui processi biologici generali. Jung, per contro, respinse fin dall’inizio una connessione precoce dell’inconscio con i processi corporei e materiali, non perché non credesse a un simile rapporto, ma perché era convinto che i fenomeni dovessero essere esaminati in primo luogo nel solo ambito psichico per sé, e dovessero essere indagati in modo alquanto differenziato, prima di stabilire ponti con i processi somatici. Voleva in tal modo compensare il pregiudizio materialistico del suo tempo, mirante ad asserire frettolosamente che la psiche è un epifenomeno, cioè un  fenomeno secondario e accessorio che talora accompagna o segue un fenomeno primario senza apparente necessario rapporto con esso, dei processi fisiologici. Jung era convinto che l’esistenza di un legame con la fisiologia si sarebbe manifestata spontaneamente, quando i due ambiti avessero sufficientemente sviluppato le proprie ricerche. Questa connessione sembra delinearsi a poco a poco, sebbene non ancora nei particolari, in un luogo del tutto inatteso: nella microfisica. Jung è noto come lo scopritore del cosiddetto esperimento associativo, un test in cui figura una lista di cento parole, che si presume siano in parte indifferenti al soggetto e in parte possano eventualmente toccare qualsiasi rappresentazione emotiva. Il soggetto deve associare qualcosa a ogni parola nel più breve tempo possibile. Qualora venga toccato un complesso, il tempo di risposta si allunga considerevolmente. Inoltre i complessi si riferiscono all’intero ambito corporeo, e non solo al cervello, il che oggi è del tutto evidente: in psicosomatica si parla di nevrosi cardiache, o che coinvolgono altri parti del corpo. Jung concentrò anzitutto la sua indagine sull’influenza dei complessi inconsci sull’intera personalità, investigando nei dettagli il loro ruolo di componenti prefiguranti il destino, nella personalità del singolo individuo.

COSA INTENDE JUNG PER PSICHE?

Jung per psiche intende per prima cosa tutto ciò che è conscio, vale a dire tutto ciò che in noi è associato con il cosiddetto complesso dell’ IO. Quando so qualcosa, allora dico: “Lo so.”  In secondo luogo la psiche consta del cosiddetto inconscio cioè di ciò che è psichicamente sconosciuto e che tuttavia quando varca la soglia della coscienza, appare simile ai contenuti coscienti, ad esempio i sogni. In terzo luogo, appartiene alla psiche ciò che Jung denomina sistema psicoide intendendo con questo termine l’assolutamente ignoto, in cui la psiche sembra mescolarsi con la materia. I complessi pur essendo di per sé inconsci possono comprendere personalità più ampie che in determinati casi hanno una coscienza. Jung non vedeva nei complessi qualcosa di patologico, ma affermava al contrario l’esistenza di una sorta di complessi normali: il nostro sistema psichico si compone, normalmente, di diversi complessi, il complesso dell’Io è solo una tra i tanti. Jung ha denominato archetipi questi complessi normali. Si tratta di disposizioni innate o strutture psichiche inosservabili che riproducono rappresentazioni, pensieri, emozioni, motivi fantastici, strutturalmente simili, in situazioni ricorrenti tipiche.

Tratto da: “Psiche e Materia” di Marie-Louise von Franz